Progettazione 3D di un’installazione
“In una coniugazione di concetti, l’installazione plasma l’essenza stessa del Jamais-vu, intrecciando le trame della psicologia cognitiva con le profondità oscure dell’opera d’arte. Questo labirinto concettuale, affascinante e al contempo inquietante, ci trasporta in una dimensione sospesa tra la familiarità e l’estraneità, come un viaggio nell’abisso del sé.
Dall’influsso di “Das Unheimliche” (1919) Sigmund Freud, emerge la rivelazione del perturbante, non nell’estraneità mostruosa, ma nel famigliare, nel risvegliarsi stranieri a se stessi. Questo conflitto tra spazio percepito e spazio fisico, tra ciò che riconosciamo e ciò che ci appare ignoto, si manifesta nel confronto tra Deja vu e Jamais-vu, tra il già visto e il mai visto.
L’installazione si erge come un monumento alla dissonanza cognitiva, dove il passato si materializza nel presente attraverso i ruderi del tempo e le trame dell’architettura concettuale. I confini del vissuto si delineano nel ferro arrugginito, mentre le sensazioni passate si fondono nell’impronta materica di cemento, ferro, gomma e lattice.
Questo amalgama di materiali, dal cemento che simboleggia la solidità dell’esistenza umana, al ferro che lentamente si corrode sotto l’effetto del tempo e degli agenti atmosferici, alla cellulosa batterica, materia naturale che sfida il normale corso dell’usura, crea un rapporto schizofrenico tra l’artificiale che deperisce nel tempo e il naturale che resiste alle avversità. In questa metamorfosi architettonica, ogni materia è un simbolo, una testimonianza dell’eterno conflitto tra conservazione e trasformazione, tra la protezione materna e la separazione primordiale. Il cemento, solida base del vissuto, si erge come un altare per le memorie intrappolate nel tempo, mentre la rete in ferro, arrugginendo, rivela la caducità della vita e la smaterializzazione della protezione.
Ma è nella gomma e nel lattice che si manifesta la quintessenza del Jamais-vu, nell’evocazione della placenta lattiginosa e calda, simbolo di vita e protezione, ma anche di distacco primordiale e separazione. Attraverso questi elementi, l’opera ci interroga sulle nostre perdite, sulle nostre custodie, sui luoghi che abbiamo abitato e sulle visioni che abbiamo incontrato, gettando una luce sinistra sul labirinto delle nostre percezioni e dei nostri ricordi.”
Testo a cura di Matilde Panetta e Carlo Michele Schirinzi per la pubblicazione dell’opera sulla rivista d’arte R-ESISTENZE, 2024